Stamattina mio figlio Marco cercava un libro. In particolare un libro di Stephen Jay Gould, La vita meravigliosa, sulla fauna del Cambriano. Da tempo ha la passione di ricopiare i disegni delle Anomalocaris, delle Opabinia, delle Wiwaxia e di tutti quegli altri affascinanti mostri. Ciò che mi ha colpito della sua richiesta, per altri versi abbastanza prevedibile se non al limite della ripetizione ossessiva, era il modo in cui è stato in grado di definirne la copertina del libro. Io mi ricordavo solo sommariamente che fosse beige. Marco ha invece cominciato la sua descrizione dicendo:
"No, è un po' grigino, con, nel bordo, un disegno in alto blu, a righe un po' di traverso, che, nel mezzo, siccome il libro è un po' vecchio, ha come una macchia ed è un po' segnatino, quando lo apri. Davanti c'è un'Odaraia, messa di traverso."
Inutile dire che la sua descrizione corrispondeva perfettamente alla realtà (Il disegno blu era il logotipo della UEF).Ma quello che non ho potuto fare a meno di pensare era il meccanismo di semplificazione rappresentato dal fatto che io, conoscendone Autore e Titolo, ho tranquillamente potuto dimenticarne ogni altro particolare, a parte qualche vago accenno sul colore. In qualsiasi momento, trovandomi fra le mani un libro, avrei potuto ricostruire senza ombra di dubbio, se era quello che cercavo o no. Ho inconsapevolmente ridotto all'essenziale le informazioni necessarie al riconoscimento. Presumo che questo sia un meccanismo che, tralasciando l'età che avanza, dipende anche dall'aver sperimentato quanto efficacemente questa indicizzazione delle informazioni (letteralmente: ridurle alle minime informazioni realmente necessarie), ci aiuta a tenere traccia e ad avere i "puntamenti" verso migliaia e migliaia di oggetti, volti, informazioni.
Per mio figlio, oggi in seconda elementare, questo processo è appena cominciato. Ora nella sua mente c'è ancora spazio per tutte le informazioni in più che è in grado di registrare. Perché si tratta di informazioni di cui, solo adesso, comincia ad apprendere e a riconoscere un ordine di importanza. Fra poco comincerà anche lui a limitare sempre più la persistenza degli elementi inutili (spero, francamente, non troppo, dato che le cose belle della vita molto spesso sono proprio negli interstizi fra quelle importanti...). Certo non è ancora arrivato a capire che nella vita quello che non si riesce a fare non è se non molto raramente per un problema di tempo (i nostri sogni difficilmente non sono realizzabili per questa ragione) ma solo un problema di priorità (vengono prima molte altre cose rispetto al poterli realizzare). Ma si sta ormai avviando in questa direzione.
Un uguale meccanismo viene messo in pratica ogni ora, ogni minuto, ogni secolo, da noi come persone e come specie, quando passiamo dal considerare i "gruppi" di oggetti, concreti o astratti che siano, e ci concentriamo sul loro numero, sulle proprietà che dai numeri stessi derivano. Per fare un esempio banale, nessuno che abbia caramelle, libri, compiti da portare a termine e li voglia dividere fra bambini, scaffali, ore utili del giorno si proverà mai a smistarli effettivamente, prima di capire in che modo questo sia possibile. Immagino che chiunque di noi applicherebbe la dimenticanza programmata delle caratteristiche sensibili dell'oggetto per mantenere soltanto l'astrazione del loro numero. E per sapere in quanto tempo riuscirà a portare a termine i propri compiti, si limiterebbe alla divisione aritmetica di per , senza lasciar trascorrere davvero il tempo.
Questo volevo dire: contare è un modo per non vedere l'oggetto in sé; misurarlo è allontanarsene, e non solo nel senso del principio di indeterminazione di Heisemberg. Anche in un senso più profondo: estrarne le "misure", nonostante sembri avvicinarcene all'essenza, in realtà ce ne distoglie. Mette fra noi e il mondo un'astrazione.