Nonostante il termine eccentrico sia oggi sinomino, in italiano, di strano, stravagante, bizzarro, questo significato è di acquisizione piuttosto recente. Anticamente infatti eccentrico aveva puramente un significato tecnico geometrico. In particolare: "Due cerchi sono eccentrici se uno è contenuto nell'altro e se il centro dell'uno non coincide con il centro dell'altro". È stato solo fra il XVII e il XIX secolo, partendo dall'Inghilterra e passando attraverso la Francia, che al primo significato si è affiancato il secondo. Solo a quel punto questa mancanza di "centro comune", in senso figurato, è passata a significare: "mancanza di condivisione delle comuni regole di estetica, buon gusto, opinione, ecc." e da qui a significare la stravaganza (di nuovo, similmente: extra-vagare cioè muoversi al di fuori di qualcosa di consolidato e condiviso dai più).
Ma noi quanto siamo eccentrici e quanto l'eccentricità può essere vista come un elemento di per sé positivo o negativo? In questo articolo vorrei ripercorrere brevemente una serie di tappe storiche che ci hanno portato, volenti o nolenti, ad abbandonare un precedente dato acquisito, una solida convinzione, poi rivelatasi errata. E quale, fra tutte le concezioni, può essere più strettamente correlata al nostro termine che non la concezione stessa di essere al centro di qualcosa (se non del tutto)? A valle di ognuna di queste acquisizioni, siamo diventati, come civiltà, più eccentrici.
Enumererò nel seguito sette gradini fondamentali che abbiamo sceso (o salito, a seconda dei punti di vista) e ognuno dei quali ha rappresentato uno spingerci al di fuori di un cerchio concettuale da noi stessi costruito e che vedeva (beata ingenuità!) noi stessi al suo centro e noi stessi come metro della sua misura.
Il fatto che siano sette o che siano esattamente questi sette è ovviamente una scelta del tutto arbitraria e personale.
1 - La Terra è una sfera
Il passaggio dalla concezione della Terra come di una superficie piatta alla Terra come una superficie sferica, a chiunque lo si faccia risalire, è un processo di acquisizione intellettuale, storicamente documentato, che parte almeno dal III secolo a.C. Il primo ad essere citato, in questo caso, o almeno il più meritevole, è Eratostene che, oltre a formulare o supportare l'ipotesi, fu anche in grado di calcolare con buona approssimazione quale fosse il raggio della Terra. La presunta "dimostrazione" fornita da Cristoforo Colombo con il suo viaggio (diretto verso una destinazione differente da quella effettivamente raggiunta) in realtà dimostrava un assunto già molto radicato, nel medioevo cristiano e nelle coeva civiltà musulmana, almeno a livello della classe colta. Che la Terra fosse una sfera non appariva più, nel tardo XV secolo, una assoluta stravaganza.
Presso la popolazione illetterata e non istruita, invece, questa verità rimaneva in apparente contrasto con quanto sperimentato dai sensi. E la concezione più diffusa, nelle sue varie accezioni e nei suoi vari miti, era quella della Terra come una pianura estesissima, delimitata da Oceani invalicabili o Terre del Nord perennemente avvolte da nebbie eterne. Oltre questi limiti, nemmeno l'immaginazione dell'uomo medievale riusciva ad arrivare.
Abbandonare questi miti e capacitarsi della possibilità che anche agli "antipodi" potessero vivere e camminare uomini come noi, è stato il primo passo che ha relativizzato la supposizione che noi fossimo al centro del mondo.
2 - La Terra ruota attorno al sole
La storia del secondo passo è molto più nota e viene normalmente descritta come la contrapposizione fra la teoria tolemaica (o geocentrica) e copernicana (o eliocentrica). Siamo noi al centro dell'Universo e il Sole ruota attorno a noi, come sembra suggerirci il moto quotidiano del Sole sulla volta celeste, oppure questo moto è solo un'apparenza?
Già Aristarco di Samo nel IV secolo avanti Cristo era riuscito a concepire giorni, anni e stagioni come effetto di un corpo (Terra) che ruota attorno al Sole e attorno al proprio asse di rotazione, inclinato rispetto al piano di rivoluzione. Ed era riuscito quindi a guadagnare in uniformità di concettualizzazione e di semplicità di spiegazione quello che perdeva in centralità della nostra posizione all'interno dell'Universo. Nei secoli e nei millenni seguenti la sua idea vagò per lo più semisommersa, affacciandosi qua e là, sparutamente, fino a metà del 1500 quando emerse definitamente, insieme causa ed effetto della Rivoluzione Scientifica, in modo tale che diventò in qualche decennio non più sostenibile l'ipotesi di restaurare o mantenere la precedente teoria geocentrica.
Al di là del costo umano e sociale insito in questo lungo e faticoso cammino di affermazione (umano: vedi alla voce Giordano Bruno, sociale: vedi alla voce Scienza che dall'avanguardia di Galilei e Torricelli vide un crollo netto, in Italia, nei successivi secoli per effetto della controriforma), di fatto la Terra è diventata irreversibilmente una sfera in rotazione attorno al Sole. Le dimensioni di quest'ultimo sono andate via via sempre aumentando e la dimensione stessa del cosmo, non dovendo più sottostare al concetto dei cieli di stelle "fisse" ha avuto, come contraccolpo, quello di potersi ampliare ulteriormente e di poter finalmente perdere la sua alterità eterea. A partire dalle osservazioni di Galileo con il cannocchiale, che gli hanno permesso di vedere asperità, montagne, ombre e avvallamenti sulla Luna, l'idea che la materia celeste fosse la stessa di cui sono composti gli oggetti sulla terra, ha cominciato a prendere sempre più piede. E anche se ci vorranno secoli prima di mettere effettivamente il piede su un altro corpo celeste e riportarne indietro frammenti da studiare, tutte le nascenti branche scientifiche, dalla spettroscopia in avanti, ribadiranno e sanciranno progressivamente che la Terra è semplicemente un conglomerato di materia non diverso (se non nei suoi elementi puntuali e dalle ragioni evolutive che hanno portato queste componenti ad ammassarsi) da qualsiasi altro corpo presente nell'universo.
Di sfuggita va anche notato che non è propriamente corretta nessuna delle due teorie, né la tolemaica né la copernicana in senso stretto. La ragione di fondo di questa "scorrettezza" era da cercarsi... proprio in una circonferenza! Perché ciò che Copernico (e Aristarco prima di lui) proponevano era un'orbita perfettamente circolare. Mentre, con il progredire dell'accuratezza nelle osservazioni astronomiche, questa ipotesi è risultata sempre più in contrasto con i dati sperimentali. Per questa ragione e per mantenere lo spettro della circolarità gli astronomi dei secoli successivi, fino a Keplero, si dovettero inventare tutta una serie di epicicli che in qualche modo salvassero "capra e cavoli". In poche parole: se un corpo celeste non si trova esattamente dove dovrebbe essere qualora seguisse un'orbita circolare, è perché in realtà sta tracciando una ulteriore circonferenza attorno a un punto in orbita circolare!
Questo non per sminuire l'ingegnosità degli astronomi del sedicesimo secolo, ma per rappresentare quanto è stato difficile per l'umanità abbandonare questo cerchio. Sarà con Keplero che riusciremo pienamente a capire che i corpi celesti descrivono in realtà un'ellisse di cui il centro di massa (approssimabile con il Sole, nel caso dei pianeti in orbita nel nostro sistema solare) occupa uno dei fuochi.
3 - L'evoluzione della concezione del nostro ruolo nel mondo
C'è poi stato un altro passo fondamentale, un altro cerchio da cui uscire. La formulazione di questo concetto, indiscusso almeno fino a metà del XIX secolo suona come:
D'accordo, non saremo magari al centro geometrico dell'universo, ma siamo comunque al centro di un disegno di una mente superiore che ha designato noi uomini a dominare l'universo stesso e a esserne in qualche modo il compimento.
Altrimenti come si spiegherebbe la moltitudine e la ricchezza di specie animali e vegetali, che tutte sormontiamo per intelligenza (dato che a forza, velocità, agilità, longevità e quant'altro abbiamo sempre migliori competitori?). Nella formulazione sopra ho lasciato il termine uomini invece del più moderno "esseri umani" proprio per evitare un anacronismo: a quell'epoca si parlava di uomini; e pure di uomini bianchi.
Chi ci ha fatto uscire da questo ulteriore cerchio è stato Darwin. In particolare il motore concettuale che ha rimosso la necessità di vedere un disegno intelligente all'origine delle nostre esistenze è la selezione naturale. L'assunzione sopra riportata è stato possibile ridefinirla e rifondarla in termini diversi come:
È vero che l'intelligenza della nostra specie è tale da averci permesso d'arrivare alla coscienza e alla possibilità di arrivare a poter scrivere questo articolo in un blog. Ma questo non fa di noi niente di più di una delle ininterrotte linee di discendenza (attualmente in vita) rispetto a organismi che vivevano prima di noi. E si tratta di una discendenza costituita, puntualmente nel tempo, dell'insieme delle popolazioni esistenti e sufficientemente adatte a sopravvivere in un determinato ambiente e a tramandare, conseguentemente, i propri geni.
Il cerchio da cui siamo usciti è: non serve rimanere aggrappati all'idea infantile che tutto esista in ossequio al permettere la nostra esistenza e a vedere ogni altro aspetto del mondo in questa ottica. In realtà noi esistiamo; saremmo potuti non arrivare mai all'esistenza. Ma la selezione naturale avrebbe comunque operato, cieca e potente (e, va aggiunto, del tutto non-casuale), secondo le stesse logiche meccaniche. Noi siamo un effetto del meccanismo, non la sua causa. Quello che succede nelle culture batteriche, nella nostra bocca, sotto la suola delle nostre scarpe, in un lago alpino, nella foresta amazzonica, è un processo di selezione che potrebbe portare, in un tempo abbastanza lungo, all'evoluzione di chissà quale nuovo animale. Ma da qui ad autorizzare a pensare, a rovescio, che la capsula di Petri del laboratorio o il nostro cavo orale, o le nostre scarpe e così via esistessero proprio per far arrivare quel tale animale all'esistenza, ne passa!
4 - Condividiamo basi genetiche comuni a tutti gli organismi viventi
Come se non bastasse il punto precedente, nel corso del XX secolo è anche stato compreso come un essere vivente trasmetta i propri caratteri ereditari alla generazione successiva. Ed è stato confermato ulteriormente che non c'è una distanza incolmabile fra come funziona un essere umano e come funziona un animale o, a un grado ancora più basilare, un vegetale. La differenza genetica fra noi e uno Scimpanzé è dell'ordine del 2%. Questo semplice dato statistico toglie persino la possibilità di concepire che noi costituiamo un'eccezione particolarmente distante, isolata e degna di nota rispetto al resto dei viventi. Riteniamo di avere una alterità inconciliabile; sarebbe più corretto parlare di evidente nudità della nostra epidermide, per distinguerci dagli altri primati.
Ci sono cladi molto separati nella filogenetica animale; ad esempio il Tuatara è differenziato dai rettili a lui più prossimi da almeno 150 milioni di anni mentre l'ultima biforcazione nota del nostro clade è quella con Homo neanderthalensis, che risale ad appena 200.000 anni fa', salvo successivi reincroci almeno nelle popolazioni europee. Quindi, se mai ci fosse un disegno intelligente dietro l'evoluzione delle varie specie animali, io giocherei qualcosa sulla supposizione che dietro il Tuatara ci sia un disegno più importante o più coerente o più paziente che dietro al nostro. Il nostro infatti, visto su base storico-archeologico, sembra più un tardo ripensamento che un progetto a lungo meditato.
5 - Il Sole non è al centro della Galassia
Torniamo all'astronomia. Eravamo arrivati, nella nostra ricostruzione (o decostruzione), agli inizi del XX secolo, quando la Terra ruotava assodatamente attorno al Sole. Ma il Sole, a sua volta, dove si trovava? Nell'opinione degli scienziati il Sole era saldamente al centro della Galassia.
Questa concezione può sembrare strana al giorno d'oggi, in cui fino dalle scuole primarie abbiamo una visione del cosmo molto più diffusa e delocalizzata. Ma all'epoca gli scienziati non avevano elementi per poter asserire che il Sole non si trovasse al centro della Galassia e che questa non coincidesse con l'intero Universo. E la ragione di questa mancanza di elementi risiedeva nelle osservazioni astronomiche condotte fino ad allora, soltanto nel visibile e soltanto con telescopi relativamente poco potenti (almeno se paragonati a quelli costruiti successivamente).
Ma qui entrarono in gioco gli ammassi globulari, cioè raggruppamenti più o meno sferici di stelle, riuniti dalla forza di gravità e che ruotano come un corpo unico attorno al centro della Galassia. Perché questi non sono distribuiti solo lungo il disco piatto "equatoriale" della Galassia (di ogni galassia ellittica o a spirale) ma sono ditribuiti uniformemente in una sorta di sfera che avvolge il centro galattico in ogni direzione spaziale. In questo caso non solo la polvere interstellare non fungeva più da elemento capace di nascondere gli ammassi, dato che questi si potevano trovare al di sopra o al di sotto), ma anche il calcolo della distanza di questi ammassi (ottenuto tramite l'analisi delle stelle Cefeidi presenti negli ammassi) permise di determinare anche la distanza di questi ammassi globulari.
Al termine di questa lunga investigazione, terminata negli anni 20 del XX secolo, Harlow Shapley dimostrò alla comunità astronomica che:
- gli ammassi globulari non erano distribuiti uniformemente;
- gli ammassi globulari si concentravano maggiormente in direzione della costellazione del Sagittario.
Da queste due osservazioni, di per sé semplici nononstante la difficoltà che poteva essere insita nell'averle compiute, Shapley dedusse il dato che oggi è saldamente acquisito e cioè che il centro galattico si trovasse in un punto che, data la nostra prospettiva, era in direzione del Sagittario. E che in particolare il Sole non si trovasse in quel centro. Se ci fosse stato, avremmo dovuto vedere ammassi globulari uniformemente distribuiti in ogni direzione.
Retrospettivamente: che grande fortuna non essere al centro della nostra Galassia. I centri galattici sono luoghi estremamente turbolenti, abitati quasi sempre da buchi neri supermassicci (quello della nostra galassia è stato calcolato che dovrebbe avere una massa di 4,1 milioni di masse solari, pari a circa kg e un raggio pari all'orbita di Urano, circa 20 UA 3 miliardi di Km). Non un gran bel posto per abitare...
6 - La Galassia in cui si trova il Sole non è tutto l'universo
Shapley per la verità sosteneva anche un'altra tesi, poi rivelatasi errata: sosteneva infatti che tutti gli oggetti astronomici appartenessero alla nostra Galassia e che questa fosse, di fatto, l'Universo intero (è persino anacronistico chiamarla "nostra" dato che il termine implica che si consideri l'esistenza anche di altre...). Per fare questo ricalcolò anche la sua estensione e arrivò a determinarla (correttamente) in 100.000 anni luce. Certo era una stima molto maggiore di quella che era stata fino ad allora la stima dell'estensione dell'universo. Tuttavia era errata.
Ma come facevano, a quel tempo, tutti gli altri corpi celesti conosciuti, fra cui la Galassia di Andromeda, l'unica oltre alla via Lattea ad essere visibile ad occhio nudo, a entrare in questo disegno e a non essere posta fuori del cerchio? La risposta è semplice: basta riuscire a non vedere bene e a non distinguere le cose. Basta vedere le stelle che compongono le galassie come una nuvola indistinta e sfuocata, come se fosse un ammasso di polvere interstellare. E così era infatti: quella che oggi chiamiamo Galassia di Andromeda, all'epoca era chiamata Nebulosa di Andromeda, al pari di altri oggetti (rivelatisi poi di tutt'altra natura) conosciuti all'epoca.
Quale fu quindi l'elemento che permise di scardinare l'assunto? In realtà furono due: da una parte lo studio delle stelle Cefeidi (come già nel caso della posizione del Sole nella via Lattea), dall'altro, parallelamente, l'aumento della capacità di risoluzione dei telescopi. Quanto al secondo: è facile convincersi come distinguere i singoli e numerosissimi punti luminosi di una galassia al posto dell'alone sfuocato che si vedeva prima, sia un passo necessario per interpretare correttamente che cosa si sta osservando. Del resto Galileo nel vedere Saturno rilevò che aveva, da entrambi i lati, due corpi luminosi più piccoli; occorsero 50 anni perché il miglioramento degli strumenti osservativi permettesse di risolvere l'immagine e permettesse a Huyghens di capire che si trattava di un anello in orbita equatoriale.
Torniamo al nostro problema iniziale: osservando meglio le galassie e trovandole piene di stelle, è facile supporre che si tratti di oggetti molto lontani fatti di molti oggetti più piccoli. Ma occorre poterlo dimostrare su basi più solide che quella della semplice analogia. E qui vengono in aiuto le stelle Cefeidi (così chiamate perché la prima stella di questo tipo è stata Cephei), oggetti che hanno avuto una grande importanza nella storia della cultura e nella stessa weltanschauung odierna e che meritano quindi qualche parola in più.
Innanzitutto parliamo di un problema astronomico che è tanto poco noto quanto basilare:
al di là delle stelle così vicine a noi che la loro distanza può essere determinata direttamente tramite la parallasse annua, per tutte le altre stelle dell'universo non esiste un metodo diretto per calcolarne la distanza.
Sembra un'affermazione paradossale. Eppure è la realtà: abbiamo alcuni metodi indiretti, quindi basati su assunti corroborati da molte conferme fisiche, ma nessun metodo geometrico per sapere quanto una stella sia lontana da noi. Per capirci: se fossero errate le nostre conoscenze del funzionamento delle stelle, anche la stima delle loro distanze sarebbe conseguentemente errata. Una stella con una certa luminosità apparente elevata, è tale perché è una stella con luminosità intriseca bassa ma molto vicina oppure è una stella con elevatissima luminosità intrinseca e mediamente lontana? Come si vede i tre termini: luminosità apparente (misurabile), luminosità intrinseca (non misurabile) e distanza (non misurabile) non sono indipendenti: noti due dei tre, si può ricavare il terzo.
In questo senso ci vengono in aiuto le stelle variabili Cefeidi, in cui un ulteriore elemento gioca un ruolo fondamentale: la variazione di luminosità (assoluta ma, conseguentemente, anche apparente). Al di là della spiegazione fisica per cui ciò avviene, si è scoperto che esiste una relazione fra il periodo di pulsazione (quindi un dato rilevabile misurando un tempo) e la luminosità stellare assoluta. Ma nota la luminosità stellare assoluta e la luminosità apparente, diventa possibile determinare la distanza della stella.
Per primo Edwin Hubble, fra il 1923 e il 1924 rilevò la presenza di stelle Cefeidi nella Galassia di Andromeda. Potendo valutare la frequenza di pulsazione e la luminosità apparente, riuscì a determinare la distanza delle stelle e quindi di tutta la Galassia: 2,5 milioni di anni luce. Paragonati ai 100.000 anni luce di estensione della nostra Galassia, ecco che si forma la nuova immagine del cosmo, oggi comune a tutti noi: l'Universo è popolato da vari oggetti fra cui le Galassie; queste contengono miliardi di stelle. Noi viviamo su un pianeta in orbita intorno a una stella appartenente a una di queste Galassie.
7 - Il nostro sistema Solare non rappresenta il modello per gli ulteriori sistemi planetari
Nelle nostra Galassia, e quindi, per estensione, con ogni probabilità, anche in Galassie dinamicamente simili alla nostra, l'esistenza di oggetti (specialmente pianeti) orbitanti attorno a corpi centrali più massicci (stelle di varie classi stellari) appaiono sempre più essere la regola.
I Sistemi solari non sono quindi un'eccezione locale; tuttavia la forma che ha il nostro appare sempre più come un'eccezione. Gli astronomi hanno oggi abbandonato l'idea che la specifica conformazione del nostro sistema (pianeti piccoli e rocciosi vicino alla stella, pianeti grandi e gassosi lontano) sia una regola.
Appena prima che gli astronomi avessero a disposizione strumenti ottici di rilevazione diretta o indiretta (cioè tramite l'osservazione dei minuscoli spostamenti delle stelle dovute all'attrazione dei loro pianeti), ci si aspettava di scoprire un numero inferiore di Sistemi solari. Ma questo succedeva (anche) perché si proiettava inconsciamente all'esterno la concezione del nostro sistema. E si ipotizzava che pianeti di grossa massa relativamente lontani dalla stella centrale producessero effetti di perturbazione poco apprezzabili. La prima sorpresa in questo senso è stata la scoperta della classe degli "Hot Jupiters" cioè di pianeti molto massicci (circa della dimensione di Giove) ma orbitanti in un'orbita più vicina alla stella centrale di quanto non sia Mercurio nel nostro (0,4 UA).
In sostanza le scoperte degli ultimi anni hanno permesso di delineare chiaramente come era solo la nostra ignoranza (e il funzionamento consueto della mente umana) a farci immaginare lo sconosciuto simile al conosciuto. Siccome non conoscevamo altri sistemi planetari oltre al nostro, ci siamo per anni immaginati queste due cose:
- che anche attorno ad altre stelle orbitassero pianeti;
- che la struttura di fondo del nostro specifico sistema solare (pianeti più piccoli e rocciosi al centro, giganti gassosi più all'esterno) fosse una regola generale
Entrambe le assunzioni si sono rivelate errate, anche se in misura differente. La prima ipotesi si è rivelata parzialmente errata e principalmente nel punto di vedere un unica stella centrale come la regola: in realtà sono stati trovati moltissimi sistemi dinamicamente stabili ma molto più complessi. Stelle binarie e triple sono quasi la norma. Gruppi più numerosi sono anche stati trovati, come quintetti e sestetti di stelle gravitazionalmente legate. E se volete vedere un sistema particolarmente strano, date un'occhiata a: HD 131399Ab.
Dall'altra parte la struttura del nostro sistema solare è dovuta, secondo Konstantin Batygin, Gregory Laughlin, Alessandro Morbidelli a una serie di eventi tutt'altro che usuali e probabili, ragion per cui noi ci troviamo a vivere piuttosto in un sistema dinamico eccezionale, piuttosto che nella norma. La norma è forse statisticamente più rappresentata da Hot Jupiters che da sistemi solari come il nostro.
Il prossimo passo
Io ho un candidato a quello che potrebbe essere il prossimo passo per uscire da un ulteriore cerchio: trovare la vita da qualche altra parte nel cosmo e relativizzare ulteriormente il nostro concetto di essere un unicum.
Ma su questo punto non posso fare a meno di notare che trovare esattamente quello che si sta cercando, spesso risulta estremamente difficile, almeno fino a quando non si definisce un po' meglio (o un po' meno) quello che si cerca. Mi spiego con un esempio, per evitare di addentrarmi in un argomento estremamente difficile come è quello di definire che cosa sia la vita. L'esempio è dato dalle varie sonde che sono state mandate, nel corso degli ultimi cinquant'anni, verso altri corpi del Sistema Solare, con l'obbiettivo (primario o secondario, rispetto all'intera missione esplorativa) di trovare prove dell'esistenza di vita. Un buon esempio sono state le sonde Viking o Phoenix verso Marte. La conclusione dei vari tentativi è stata, quasi in una sorta di mito di Sisifo astronomico, sempre la stessa: ogni sonda partiva con un bagaglio di strumenti e dei target da raggiungere per poter dire: "Abbiamo trovato prove dell'esistenza di altre forme di vita". Ogni sonda ha puntualmente rilevato quanto ci si aspettava di rilevare... ma ogni volta gli scienziati (esobiologi) hanno ritenuto che le prove cercate non fossero adeguatamente conclusive.
E che quindi ancora una prova dell'esistenza della vita al di fuori del nostro pianeta non possiamo dire di averla trovata.