Quando feci leggere in anteprima il racconto «Cose che mi riguardano» a un mio amico, la sera stessa mi telefonò per dirmi:
“Caspita, mi è piaciuto molto.”
“Ti ringrazio. Ma l’hai già finito?”
“Sì, volevo darci solo un’occhiata ma poi, leggendolo, mi ha attirato il fatto che fosse diverso rispetto al tuo stile solito. La cosa mi ha incuriosito e allora l’ho letto fino in fondo.”
“Ti ringrazio…”
“…mi è piaciuto molto, proprio perché era differente.”
Qui iniziai a preoccuparmi. Non tanto perché sottolineare questo aspetto non suonava molto come complimento. Ero più che altro preoccupato per il non capire in che cosa consistesse tutta questa differenza.
“Ma, scusa, che cosa trovi che ci sia, di diverso?”
“Beh, mi sembra chiaro: che in questo racconto parli di te. Non hai parlato di ipotesi, di astrazioni. Di luoghi e situazioni distanti nel tempo e nello spazio. Belli, certo. Ma apprezzo anche che, per una volta, tu abbia voluto scrivere una sorta di diario.”
Per un attimo pensai che forse non ci eravamo capiti. O forse, chissà, gli avevo mandato il file sbagliato. Il che è strano, non tanto perché mandare allegati è una cosa che mi riesce senza grossi problemi, quanto perché non credo di avere file elettronici che contengano appunti che possano essere definite un diario.
“Un diario, dici?”
“Sì, il diario della tua malattia.”
Qui non riuscii a non insorgere. D'accordo che la lettura dell'autore è solo una delle letture possibili. E non necessariamente quella più accurata. Però mi sentivo piuttosto confidente nel poter dire la mia rispetto alle differenze fra la mia persona e le chiacchiere di un personaggio di racconto che parlava in prima persona.
“Ma non è affatto il diario della mia malattia.”
Il mio amico fu molto cauto nel rispondere. Può darsi che, per un attimo, si sia chiesto anche lui se non gli avessi mandato il file sbagliato...
“Scusa, non è di questo che parliamo?”
“Non credo. Questo è un racconto.”
A questo punto il mio amico parve colto da un'illuminazione.
“Ma sì, non credere. Chiaro, chiaro. Ti capisco. Però, in fondo, ammettilo. Ho un po' ragione anch'io.”
“Ragione… Certo che parlo di me stesso. Però non più di quanto qualsiasi cosa si scriva è comunque un modo di parlare di se stessi. Diciamo che è più corretto dire che parlo del personaggio «me stesso», che è un suo bel personaggio come tutti gli altri.”
Il mio amico, al telefono, aveva un’aria vaga, come qualcuno che acconsenta ridendo a un capriccio.
“Sarà... Ma io in fondo non la bevo. Dai, sì, insomma. A me sembrava proprio di vederti…”
“Ma avresti visto male. Perché non ero io. Non l'io che ti sta parlando, almeno.”
“Insomma. Vedila un po’ come vuoi.”
Ma no, il mio amico non voleva cedere. Evidentemente considerava insostenibile la mia posizione. Tanto che riprovò da un'altra strada:
“Ma devo pensare che sia una coincidenza, allora?”
Io iniziavo a trovarmi poco a mio agio. Come tutti, non amo essere messo alle strette. Oltretutto ho un rapporto piuttosto conflittuale con i conflitti.
“Diciamo che anch’io mi sono stupito quando mi sono reso conto che c’erano evidenti similitudini fra una parte di quello che succedeva al personaggio principale e quello che è successo a me.”
“Ti sei stupito…”
La perplessità del mio amico non poteva essere maggiore. A me veniva difficile continuare il discorso e magari finire per chiedergli un giudizio su quello che avevo scritto. Che era anche la ragione per cui glielo avevo inviato. Forse era meglio cambiare discorso. Ma il silenzio della telefonata si stava facendo sempre più difficile da colmare.
“Comunque… sì, bravo. Adesso, scusami, ma…”
“Sì, no. Certo. Grazie, anzi. Grazie per la telefonata.”
“Ma ti pare. Stammi bene.”
Io pensai che, dopo tutto, fosse un modo brillante di chiudere la comunicazione, quello stammi bene dopo che avevamo parlato di un racconto che riguardava la salute. Ma non dissi nulla. Avevo paura che discutessimo di nuovo.
“Anche tu.”
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Titolo | Versione Kindle | Copia cartacea |
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La maggior parte dei problemi, 2017(Do un'occhiata, per farmi un'idea) | |