Fin dal primo istante in cui ha aperto gli occhi sul mondo, mia sorella è sempre stata bellissima. Non graziosa, non avvenente. Bellissima da strappare il cuore.
Mia sorella ha tre anni meno di me. Eppure non ricordo un tempo in cui la sua apparizione non abbia suscitato, nelle persone che incontravamo, ogni sorta di mugolii e di devozioni. La gente non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, non poteva fare a meno di sognare di avere un bambino in tutto simile a lei.
Io non ebbi mai il tempo di invidiarla. Perché, avendo passato la vita fianco a fianco, ho sempre saputo bene quanto quella bellezza le sia costata.
Appena diventò ragazzina, il suo rapporto col mondo si fece complicato. Perché non poteva passare in una piazza, in una strada, in una stanza, senza che chi la vedeva concepisse per lei un amore folle e insensato. Non c’era verso che riuscisse più a togliersela dalla mente. Ne faceva una malattia. E lei non poteva farci nulla. Se non sottrarsi agli sguardi della folla, fuggire. Nascondersi.
Mia sorella non è mai riuscita ad alimentare la propria vanità. Perché non è mai riuscita ad abituarsi alle disgrazie altrui, al dolore di amori non corrisposti, alla follia di abbandonare tutto inseguendo un sogno impossibile da realizzare. S’è presto spaventata delle reazioni che provocava. S’è nascosta. È vissuta perennemente dietro un velo.
La vita è passata veloce. Le sue promesse, destinate a convertirsi in felicità per chi sia riuscito a realizzarle e in amarezza per gli altri, per mia sorella è come se non fossero mai state. Come se a lei non fosse stato permesso di nutrire speranze. Perché mia sorella, bellissima anche ora che si crede vecchia, ha sempre saputo che sarebbe rimasta sola. Braccata come una bestia selvaggia. Incapace di scappare dai suoi stessi occhi che ogni mattina la fissano dallo specchio, misteriosi.
Esattamente come la sua maledizione, neanch’io l’ho mai abbandonata. Ho sempre sentito il dovere di proteggerla. Nessun altro saprebbe quanto lei è innocente di fronte al mondo. Nessun altro capirebbe.
Non si spiegherebbero perché mai mia sorella abbia deciso di passare, dopo tanti anni, in mezzo alla gente senza velo, senza occhiali da sole, come per dimostrare a se stessa di essere guarita. Di essere diventata, se non brutta, almeno d’una bellezza resistibile.
Io non le faccio una colpa per l’aver calcolato male gli effetti del suo gesto. È stato un solo errore, un madornale errore. Ora è di là che piange, perdutamente, con quella disperazione che hanno solo le creature innocenti di Dio. Perché, al suo passaggio, la sua bellezza e la sua tristezza insieme hanno causato un’ondata di follia.
Ascolto il telegiornale e piango anch’io mentre lo speaker parla del possibile uso di un gas neurotossico, di una psicosi collettiva. Di poteri ipnotici. Non saprebbero in che altro modo giustificare l’improvvisa epidemia di suicidi che ha colpito ieri la città.